Carlo Ginzburg ha scritto che “per capire il presente dobbiamo guardarlo di sbieco” [C. Ginzburg, “Rileggere Hobbes oggi” in Paura, reverenza, terrorismo, Milano 2015, Adelhi, p. 53]: cercare un punto di vista non “diretto e verticale”, quanto piuttosto provare a scrutare nella penombra di una prospettiva diversa, per decifrare ciò che accade intorno a noi alla luce di angolazioni differenti. Twilight Struggle (di cui trovate la mia recensione qui e l’analisi delle sue carte in questa serie di post) consente di fare questo, nel tentativo di interpretare ciò che sta succedendo in queste ultime settimane in Ucraina, con l’invasione russa: non mi dilungherò in questa sede a descrivere come sia il gioco, basti sapere al lettore che non ne conosca la natura che esso permette di rivivere tutto il periodo che gli storici chiamano “Guerra Fredda” dal 1945 al 1989.

Gli eventi della attuale guerra russo-ucraina prendono il via da molto lontano e affondano le loro radici nella fine della Seconda Guerra Mondiale, o Grande Guerra Patriottica per i russi (in realtà ci sarebbe da andare molto più indietro per capire i rapporti tra la Russia e l’Ucraina, fin dall’annessione alla fine del ‘700 dei territori ucraini da parte dell’Impero Russo Zarista, ma questo esula dagli obiettivi di questo articolo). Dopo il 1922, come conseguenza della Pace di Riga, l’Ucraina entrò ufficialmente a far parte dell’URSS con la denominazione di Repubblica Socialista Sovietica Ucraina: molti ucraini mal sopportarono questo fatto, come confermano gli oltre 22.000 ucraini che si arruolarono durante la Seconda Guerra Mondiale nelle Waffen-SS (ma si presentarono presso i centri di reclutamento in oltre 70.000) [M. Alfiero, “La divisione SS Galizien” in Storia militare delle SS, Roma 2020, Newton Compton, pp. 313-314] in funzione antisovietica e antirussa. Nel 1945 furono proclamati alcuni emendamenti alla costituzione della RSS Ucraina, che le concedevano qualche autonomia in più in fatto di politica estera. Nel 1954, per “celebrare i 300 anni [ndA: dalla pace di Perejaslav] di amicizia tra Ucraina e Russia” la Crimea venne scorporata dai territori dell’RSFS Russa e annessa al controllo della RSS Ucraina. Nel 1991, dopo la caduta del Patto di Varsavia (1° luglio), il 24 agosto il Parlamento ucraino adottò l’Atto di Indipedenza dell’Ucraina, dichiarandosi stato indipendente e ponendo fine a quasi settant’anni di dipendenza dalla RSFS Russa, che nel frattempo si era disciolta come Repubblica Socialista Federale Sovietica e si era tramutata in una Federazione di Stati dal nome di Federazione Russa.
I rapporti con la Russia da quel momento si fecero tesi, oscillando dall’aperta crisi all’allerta costante. Senza andare nel dettaglio di quegli anni turbolenti (la Rivoluzione Arancione, la Crisi del Gas del 2006, le proteste europeiste dell’Euromaidan e la conseguente Rivoluzione di Maidan, la crisi della Crimea del 2014) è utile tenere a mente alcune considerazioni: 1) l’Ucraina ha due anime, una russofila, geograficamente e politicamente più vicina a Mosca, e una russofoba, europeista e dalle aspirazione democratiche e “atlantiche”. La parte russofila si concentra nella zona sud-est del paese: la Crimea ha una predominanza di russi etnici; le autoproclamate repubbliche di Luhans’k e Donec’k e i distretti di Kharkiv e Zaporizzja comprendono una rilevante presenza di popolazione russa; infine i distretti di Dnipropetrovs’k, Kherson, Mykolajiv e Odessa (quest’ultima con minoranze bulgare, romene e moldave) sono a maggioranza russofona. Le restanti aree geografiche ucraine, quelle russofobe, sono invece a predominanza ucrainofona, eccezion fatta per i Ruteni, gli ucraini dei Carpazi, del distretto di Zakarpats’ka [cfr. seconda carta a colori del secondo gruppo in Limes 2/2022 – La Russia cambia il Mondo). Nonostante queste apparenti divisioni, la maggioranza dei cittadini si considera ucraino (il 95% dei giovani si dichiara ucraino e il 2% russo [Friedrich Ebert Stiftung, Ukrains’ke pokolinnja Z: cinnosti ta orijentry, New Europe Center, 2017, pp. 27-28] e pensa che l’Ucraina e la Russia debbano rimanere due stati separati e indipendenti l’uno dall’altro (il 95% nella parte occidentale e l’86% in quella orientale [Friedrich Ebert Stiftung, ivi]) 2) la Russia “ragiona ancora in termini di sfere d’influenza, percepisce l’UE ormai giunta alle sue frontiere come un possibile concorrente e comincia a sentirsi accerchiata” [Katynka Barysch, capoanalista del Center of European Reform, citata da G. del Re, La nuova Europa non si fida, in Limes 6/2004 – la Russia in gioco, p. 253]. I russi vedono loro stessi come difensori del panslavismo e della cultura ortodossa, leader naturali in Eurasia e dotati di una sfera di influenza in cui i loro interessi in termini di sicurezza devono essere rispettati [J. Willerton, Mosca è nostra nemica perché non la capiamo, in Limes 2/2016 – La terza Guerra Mondiale?, p 118]; 3) i russi non percepiscono la fine della Guerra Fredda come una sconfitta e non si vedono come potenza perdente; pensano inoltre che i 15 stati sovrani nati dalle ceneri dell’URSS siano stati creati dagli sviluppi della loro politica interna: nessun russo, a parte qualche sacca d’elite nostalgica, punta alla restaurazione di un regime comunista (Putin stesso ha denunciato i crimini dello stalinismo) e all’oppressione del blocco ex-sovietico [J. Willerton, ivi, p. 117].
Ma lasciamo dati e osservazioni un secondo da parte, e passiamo all’oggetto della nostra analisi, Twilight Struggle. Nel gioco il concetto di “Influenza” è ciò su cui si basa l’intero sistema di regole. Essa rappresenta quanto una delle due Superpotenze è in grado di imprimere la propria impronta alla guida di una specifica nazione, talmente forte, a volta, da farne una nazione controllata, quindi pedina nella scacchiera di questa lunga non-guerra fatta però, a volte, di guerre vere. Se si osserva la mappa di gioco, si nota come le due fazioni in gioco siano grosse, minacciose e imponenti rispetto agli Stati a cui confinano: sono minacciose, sembrano impenetrabili, inattaccabili. E se è vero quello che diceva Stalin a MIlovan Gilas, leader comunista Jugoslavo, che “chiunque occupa un territorio gli impone anche il suo sistema sociale: ciascuno impone il suo sistema sociale, fin dove riesce ad arrivare il suo esercito“, è insieme assumibile che dove non arriva la guerra arriva la politica e, ancora più in là, lo spionaggio.


Rimaniamo ancorati al gioco e analizziamo la situazione degli USA nella mappa qua sopra. Ci sono tre Stati che confinano direttamente con la Superpotenza: Messico, Cuba e Canada. Si potrebbe dire che sono le “porte” per entrare nel territorio americano e rappresentano un importante obiettivo strategico e geopolitico: infatti, se controllate dal giocatore URSS durante un calcolo del punteggio del Centro America, fruttano 1 punto vittoria aggiuntivo (così, specularmente, vale lo stesso per Finlandia, Polonia e Romania in un calcolo del punteggio in Europa per gli USA). Più ci spingiamo a ridosso dell’uscio di casa avversario, più lo possiamo minacciare concretamente, e più, nella logica del gioco, acquisiamo punti nella lotta per il dominio globale.
Gli USA, all’inizio del XIX, enunciarono la dottrina Monroe, che ebbe la sua naturale evoluzione nella dottrina Truman post Seconda Guerra Mondiale. Sono passati più di duecento anni dalla giustificazione statunitense delle sfere di influenza, e ancora “Messico e Canada godono del grado di indipedenza e sovranità che Washington concede loro. Non faranno mai parte di un blocco militare o economico che escluda gli Stati Uniti, i quali a loro volta non permetteranno mai l’installazione di basi militari rivali attorno ai propri confini” [J. Willerton, ivi, p. 121]. A tal proposito, per un esempio concreto, possiamo citare la crisi dei missili di Cuba negli anni ’60, culmine a serio rischio nucleare di una escalation destinata, a fasi alterne, a protrarsi fino ai giorni nostri.

Per agganciarci a ciò che sta accadendo in questi giorni in Ucraina possiamo quindi dire che la Russia, e Putin e la sua “verticale del potere” nello specifico, abbiano più e più volte espresso la preoccupazione per un allargamento dell’influenza della NATO (e quindi degli Stati Uniti) ad Est; un esempio su tutti il discorso che Putin fece alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco il 10 febbraio 2007: “la Nato ha posto le sue forze avanzate al nostro confine, anche se noi non reagiamo affatto a queste azioni. (…) Noi abbiamo il diritto di chiedere: contro chi è diretta tale espansione? E che ne è stato delle assicurazioni dei nostri partner occidentali dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia?” [V. Putin, Speech and the Following Discussion at the Munich Conference on Security Policy, 10/2/2007, trascritto per intero a questo link, estratto citato da L. Caracciolo, il silenzio di Puskin, in Limes 2/2022 – la Russia cambia il Mondo, p. 18]. Gli eventi in Georgia l’anno successivo si devono leggere (anche) in questo senso. Lo stato che aveva dato i natali a Stalin aveva timidamente aperto la porta all’Occidente per cercare di affrancarsi dalla CSI (Comunità degli Stati Indipendenti, organizzazione che raggruppava una buona fetta delle delle ex-repubbliche sovietiche) e quindi dall’influenza russa, cercando di spostare il suo baricentro ad ovest. La storia è nota, e si sta ripetendo in Ucraina oggi: uguali pretesti (la protezione della maggioranza russofona di una regione, nel caso della Georgia le regione dell’Ossezia del Sud) e uguali motivazioni (il fermare la corsa della NATO ad Est).

Twilight Struggle insegna perché è un gioco che parla della realtà, una realtà storica nella quale si possono leggere delle intuizioni per meglio capire il presente: una Superpotenza è tale se mantiene le sue sfere d’influenza e ciò è ancor più vero nel caso della Russia, per cui il paradigma “spazio=nazione” è intrinsecamente legato alla cultura storica, geopolitica e internazionale del paese. Se gli USA, in questa fase del loro (lentamente) declinante impero, hanno iniziato una politica di disengagement dai conflitti in paesi lontani (Afghanistan insegna), la Novorossija di Putin passa necessariamente attraverso un ristabilire la propria influenza verso l’esterno: verso quei confini che rappresentavano, per la Russia zarista prima e per l’URSS dopo, un punto di chiusura delle frontiere e che recepivano le spinte culturali e economiche in maniera centrifuga da Mosca e che oggi invece sono l’opposto; per la Federazione Russa (e di conseguenza per gli stati su cui essa impone, o vorrebbe imporre, la propria influenza) non sono più barriere ma punti di contatto, che importano economia, cultura, valori e punti di vista. Questo non può far altro che aumentare il serio rischio di una disgregazione dello spazio russo e questo Putin lo sa. [cfr. S.A. Tarchov, Integrazione e disintegrazione dei trasporti nello spazio post-sovietico in Izvestija RAN, serie di geografia, 3/1997].
Ora, leggendo gli avvenimenti che si stanno delineando in Ucraina in questo ultimo mese, si può presupporre che i russi puntassero al regime change dell’Ucraina in brevissimo tempo come obiettivo primario della loro avventura ad ovest. Lo scontrarsi contro una imprevista resistenza militare (a tal proposito consiglio di ascoltare ciò che racconta Claudio Bertolotti, ricercatore associato dell’ISPI, nella puntata 59 del podcast Globallly dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale “Le strategie militari russa e ucraina“, che potete trovare su spreaker a questo link] e popolare ne ha di fatto trasformato le ambizioni: finlandizzare l’Ucraina sembra quindi la seconda via, così come il riconoscimento internazionale dell’autoproclamate Repubbliche Popolari di Luhans’k e Donec’k, delle sfere di influenza russe su Georgia e Dombass e, più in là, il controllo delle coste del mar Nero e del mare d’Azov. Allargare quindi la sfera d’influenza della Russia per dichiarare al mondo che, tra USA e Cina (l’UE sembra stare sullo sfondo, anche se questi avvenimenti potrebbero cambiare le cose) c’è di nuovo un terzo attore che si affaccia sul palcoscenico del potere globale e non ha intenzione di stare a guardare.
Il nostro Twilight Struggle quindi riesce a catturare il momento presente pur parlando del passato perché, a “guardare di sbieco”, per riallacciarci alle parole di Ginzburg, ci fa capire che quel passato così chiuso non è. Termini come Superpotenza, minaccia nucleare e sfera di influenza, che sembravano relegate nell’armadio degli storici, tornano in auge ora perché forse non se ne sono mai andati davvero, e noi occidentali (in primis noi europei) abbiamo fatto finta di vivere nella sempiterna pax occidentalis, dimenticandoci che la guerra è sempre in agguato (a tal proposito, lo stanziamento di 100 miliardi di euro che Olaf Scholz ha decretato a favore della Bundeswehr ha molto da far riflettere: un socialdemocratico tedesco che aumenta gli stanziamenti per l’esercito sarebbe stata fantascienza solo pochi mesi fa).
Vorrei chiudere citando le parole di Fedor Luk’janov, direttore del think tank del Cremlino Club Valdaj: “la Russia è tornata a sentirsi una potenza a sé stante: non vuole essere più la periferia dell’Europa, bensì il centro dell’Eurasia, che comprende il Vecchio Continente. Questa svolta concettuale non è reversibile e caratterizzerà la politica russa a lungo termine” [M. Allevato, Così Putin ha riportato Mosca al centro del Grande Gioco, agi.it, 26/2/2017, citato da Oxana Pachlovska, Ucraina, limes Europae, in Limes 2/2022 – la Russia cambia il Mondo, p. 51].