Continuiamo la nostra analisi degli Engagement Scenario di Pacific War (GMT Games) addentrandoci ancora un po’ di più nel regolamento di questo giocone. Ribadisco che lo strumento inventato da Mark Herman con questi scenari di “apprendimento” risulta davvero intelligente per giocare imparando. Certo, ci va un po’ di analisi critica per capire quale parte del regolamento si va ad approfondire di volta in volta, ma fa parte del gioco (ahaha); inoltre, sfogliare il manuale lo rende via via più famigliare, tant’è vero che a un certo punto non servirà più l’indice analitico (anche se, a onor del vero, serve tantissimo l’indice analitico: spiegatelo a Ben Hull…).
Se volete recuperare gli altri post della serie, non dovete fare altro che cliccare qui. E ora, si parte!

Nell’ottica del piano giapponese di conquista delle colonie occidentali nell’area dell’Oceano Pacifico, l’8 dicembre 1941 una forza di invasione nipponica fu mandata dagli alti comandi a minacciare l’Isola di Wake contestualmente all’attacco su Pearl Harbour. Il piccolo atollo era un possedimento statunitense con una piccola base presidiata dal 1° battaglione Marine a metà strada tra le Filippine e le Hawaii, sul quale il governo voleva sviluppare una base aerea avanzata nel Pacifico.
Dopo pesanti bombardamenti da parte dei micidiali Mitsubishi G3M decollati dalla base di Kwajalein, nelle isole Marshall, che distrussero gran parte della guarnigione aerea, l’11 dicembre i giapponesi tentarono l’invio di una forza d’assalto per sbarcare sull’isola e prenderne il controllo. I 450 soldati della Kaigun Tokubetsu Rikusentai, il corrispettivo nipponico dei Marine americani, tentarono invano di formare una testa di ponte sulle spiagge del lato sud dell’atollo, con obiettivo principale l’aeroporto, ma furono respinti dal contingente statunitense e costretti a ritirarsi.

Le condizioni di vittoria per questo terzo Engagement Scenario sono semplici: se i giapponesi controllare l’esagono 2942 (Wake Island) alla fine del Battle Cycle hanno vinto, tutti gli altri risultati sono una sconfitta.
Per prima cosa il giocatore svolge tre Air Strike, a simulazione dei bombardamenti preparatori che i giapponesi effettuarono nei giorni precedenti lo sbarco. La procedura l’abbiamo appresa nel primo scenario e qui non differisce di molto.

La prima missione aerea nipponica viene intercettata dagli aerei americani e abortita. Nei secondi due attacchi però, i bombardieri eludono le difese statunitensi (sia la CAP, Combat Air Patrol, che la FlaK, cioè le difese antiaeree) riuscendo in questo modo a distruggere le fortificazioni dell’isola, che avrebbero rappresentato un grosso problema per le truppe da sbarco.


A questo punto le navi della Task Force entrano nell’esagono dell’atollo (ricordiamo che in Pacific War un esagono ha 100 miglia di lato), dando la possibilità ai sottomarini americani dislocati lì di effettuare un singolo attacco, che però viene vanificato da un pessimo, pessimo tiro di dado. A questo punto quindi i giapponesi inviano la forza da sbarco!
Il combattimento tuttavia si rivela una cocente sconfitta e i giapponesi vengono, come si suol dire in queste occasioni, ricacciati in mare (replicando di fatto la situazione storica, con sommo gaudio personale che, da buon aspirante Grognard, godo quando tutto combacia nel ricreare sul mio tavolo la Storia, nonostante dadi e quant’altro: mi sembra che inevitabilmente dovesse andare così!)

Perdo lo scenario ma imparo una cosa importante, anzi due: la prima cosa è che in PW gli sbarchi devono essere pianificati con attenzione, dato che una forza da sbarco dimezza la sua forza quando sta sbarcando (e ci sta); la seconda cosa è che, studiando la tabella degli scontri di terra, ci si accorge che in questo gioco essa prevede quasi sempre delle perdite da entrambe le parti, ed è una cosa sacrosanta e giusta ma da tenere in considerazione (quasi sempre, visto che in questo caso il risultato del mio tiro di dado è stato un 2/0, tenendo conto che i battaglioni da sbarco hanno uno step…).

L’apprendimento graduale di PW, lo ribadisco, funziona. Mentre si giocano questi scenari della durata su carta di 15 minuti (in realtà è la durata se si è Mark Herman, altrimenti se giocate per la prima volta e dovete usare spesso il regolamento, calcolate almeno un’ora, un’ora e mezzo per questo 3° scenario) si maneggiano tabelle, counter, ci si impratichisce con i concetti chiave, si impara a navigare nel manuale (che è quello specifico per questo tipo di scenari, poi quello delle Battle introdurrà le cose che servono per quel tipo di scenario, e così via per il Campaign Rulebook e lo Sterategic Rulebook. Lo scheletro rimarrà sempre quello imparato negli Engagement, sul quale si andranno a innestare sempre più cose. Come quando, per arrivare a dare Analisi 2, si deve partire dalle tabelline). E ci si diverte, oltretutto!
Cosa volere di più? Ah sì, ecco: ancora, ancora, ancora!